lunedì 21 settembre 2009

Queer politics and queer theory

Nuove soggettività
e la rivisitazione della norma(lità)
di Andrea Fiorucci

Queer? Sembra uno strano termine, quasi insignificante a uno sguardo ingenuo, eppure quelle lettere rappresentano un mondo immenso. Infatti con tale lemma si fa riferimento alle realtà gay e lesbiche. Il vocabolo queer appartenente alla cultura anglofona in italiano risulta essere intraducibile.
Ogni tentativo risulta essere un’alterazione semantica. Esso fu adottato per la prima volta, in riferimento alla realtà omosessuale, nel 1990 dalla studiosa Teresa de Lauretis per indicare una possibilità di fusione, senza nessuna esclusione e forzato accorpamento, tra studi gay e lesbici e per «delineare un altro universo di discorso, un modo di pensare il sessuale» (de Lauretis, 1999). Il termine queer, anche se affiorato in epoca recente, non è contemporaneo. Veniva utilizzato nel periodo tra le due guerre per indicare, in maniera colorita, gli omosessuali (Welzer-Lang, 2006), in particolare coloro i quali manifestavano in modo esplicito un comportamento effeminato (Chauncey, 1994). In epoca contemporanea il termine acquista nuovi sensi, essendo utilizzato dagli studiosi per riferirsi in maniera efficace e sintetica a soggettività «gay, lesbiche, bisessuali, transessuali, transgender o intersessuati; ossia tutte quelle soggettività che, nell’attuale classificazione in uso, sono comprese nell’acronimo LGBT» (Taurino, 2005).
Queer politics: azioni finalizzate all'emancipazione sociale
Allargare una categoria nella quale ognuno possa trovare il proprio spazio e la propria esclusività, utilizzando il termine generico e riformato queer, significa donare a soggettività considerate dal contesto anormali un senso di appartenenza. Concedere a identità fragili ancoraggi sicuri. Spesso classificarsi, vuol dire identificarsi in un gruppo, in un’idea, in un atteggiamento. Vuol dire uscire fuori da dimensioni solipsistiche ed emarginanti. Rinominarsi queer vuol dire dare corpo a una politica d’emancipazione. Riconoscersi attraverso dimensioni empatiche a soggettività vicine, partecipare a quella dimensione che è definita dai sociologi queer politics. Gamson (1996) raccomanda di pensare alla politica queer come una strategia e una logica d’azione più che come un movimento dai contorni precisi. L’attivismo queer, infatti, si esplicita attraverso azioni localizzate, nella maggioranza dei casi senza identificarsi con un’organizzazione centrale e le sue forme di intervento sono caratterizzate «dalla teatralità, dalla provocazione, dalla parodia» (Welzer-Lang, 2006). Manifestazioni attraverso le quali la soggettività queer dà voce a pratiche sovversive, destrutturanti «che nella loro platealità mettono in crisi paradigmi discriminatori» (Taurino, 2005).
Queer theory: studi di genere per allargare gli orizzonti della norma(lità)
La queer politics e la queer theory, pur contando su origini e percorsi comuni non sono concetti sovrapponibili né tanto meno sinonimi. Le loro manifestazioni individuali non devono essere valutate come riflessioni speculari di sfere differenti. Mentre la politica queer denota un atteggiamento di dissenso e si esprime attraverso l’attivismo e la partecipazione politica a manifestazioni e interventi finalizzati al riscatto e all’emancipazione sociale, la teoria queer indica «una corrente di pensiero e una disciplina in formazione che si propone di decostruire i rapporti tra identità sessuale e genere, valutando obiettivi e limiti politici dell’identità sessuale» (Welzer-Lang, 2006).In campo accademico la teorizzazione queer viene utilizzata per prendere le distanze dal modello identitario binario. Per dichiarare che vi è una moltiplicazione, nell’ambito delle comunità gay e lesbiche, di nuove soggettività nate come un’opposizione al costrutto ingabbiante di genere. Identità escluse dalla simbolizzazione e dal linguaggio. Esseri abietti, rilegati nel campo frammentato e sconosciuto dell’impensabile/innominabile.L’abiezione è l’ambito in cui si collocano le identità considerate dal sistema “eterocratico” come outgroup. L’abietto “incarna e rappresenta il limite consentendo al sistema stesso di ristrutturarsi nel confronto incessante con un esterno rifiutato” (Taurino 2005). La soggettività abietta è riconosciuta dal contesto esclusivamente come diversa. Minacciosa. Una presenza oscura e patologica. Da contrastare. A tale riguardo l’esistenza di soggetti abietti consente sia una destrutturazione degli impianti di conoscenza univoca della propria identità che una costruzione di nuovi percorsi attraverso i quali poter guardare all’identità altra.Sono queste tutte riflessioni che, in maniera differente, al discorso assimilazionista che pone l’accento sulla similarità tra gli/le omosessuali e gli/le eterosessuali, sostituiscono una proposta di “ribellione culturale” alla norma(lità).

Articolo tratto da Ripensandoci.

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